lunedì 19 gennaio 2015

Ma anche senza soldi, i saldi ci "parlano"



(da La Gazzetta del Mezzogiorno del 18/1/2015)

“Dimmi come consumi e ti dirò chi sei”: crediamo ancora a questo slogan? Fino a qualche tempo fa esso sintetizzava bene un aspetto importante della società di massa, detta anche, appunto, società dei consumi. Poneva attenzione non solo a cosa si acquista, ma soprattutto a come si acquista, ai luoghi preferiti per fare la spesa –se il negozietto o l’ipermercato, ad esempio -; ai giorni della settimana dedicati al consumo; allo “shopping delle vetrine”, quello che consiste solo nel guardare ciò che i negozi espongono senza necessariamente spendere subito o magari solo prefigurando spese successive durante il periodo dei saldi. L’osservazione di questi comportamenti ha permesso, soprattutto negli scorsi decenni, di costruire l’idea che il soggetto sociale della modernità esprimesse molto di sé nei modi, nei tempi e negli spazi dedicati al consumo.  Ma oggi la crisi ha ridotto in modo drastico proprio il consumo in quanto tale, cioè l’indicatore principe di questa immagine delle società contemporanee. Il che non vuol dire che non si continuino a comprare beni, merci e servizi necessari, ma appunto quasi solo quelli necessari, e spesso anch’essi in modo molto più ridotto e oculato. Ed è proprio in questa tendenza al risparmio e alla oculatezza che trovano un nuovo, e forse ancora non ben definito, ruolo i saldi di fine stagione.
I saldi nascono con la società di massa: li inventano i grandi magazzini americani, come Macy’s e inglesi, come Harrod’s, più o meno un secolo fa, allo scopo di esaurire le scorte di merci dell’anno rimaste invendute. Negli Stati Uniti, il Black Friday, il “venerdì nero” in cui si apre la stagione invernale dei saldi, è quello che segue il giovedì del ringraziamento, a fine novembre. Le spese natalizie possono lì dunque essere fatte in anticipo e con soddisfazione. Non così in Italia, dove invece viviamo una sorta di autopunizione prenatalizia e pre-estiva, costretti o a rinviare ai primi di gennaio o di luglio spese magari necessarie, come un cappotto o un costume da bagno nuovi, oppure a subire consapevolmente il prezzo intero pur di indossare quell’indumento a Natale o a San Giovanni. E comunque anche da noi ormai c’è una specie di corsa all’anticipo dei saldi, soprattutto quelli invernali, che un tempo iniziavano a gennaio inoltrato e oggi invece subito dopo Capodanno.
In Italia le prime leggi sui saldi vennero istituite durante il fascismo, negli anni ’30, allo scopo di regolamentare l’uso degli sconti periodici che era giunto anche da noi dopo America e Inghilterra. A differenza di oggi, però, i commercianti potevano allora decidere il periodo in cui effettuare i saldi, pur seguendo necessariamente un iter burocratico e il vincolo di non cambiare il prezzo durante il periodo prescelto. Nell’Italia repubblicana si stabilirono invece periodi comuni per le vendite scontate, fino a giungere alla legislazione odierna che affida alle Regioni la decisione sul loro inizio e fine due volte all’anno.
I saldi rappresentano oggi una delle poche forme, se non l’unica, attraverso cui tornano a fare shopping in modo visibile e percepibile anche statisticamente le classi sociali che fino a qualche tempo fa erano protagoniste assolute dei consumi di massa e che invece se ne erano ritirate negli anni dal 2008 in poi. Si tratta in particolare delle classi a reddito medio e medio-basso, “zoccolo duro” della stagione dei saldi. Oltre a questa componente, economicamente individuabile, ce n’è un’altra circoscritta soprattutto per età e cultura: si tratta delle generazioni dei venti-trentenni, che negli anni ’10 non sono più “vittime dello shopping”, come i loro predecessori degli anni ’90 e primi 2000, ma sono diventati consumatori oculati spesso dediti al riciclo e al riuso di beni, primi fra tutti abbigliamento, mobili, e perfino oggetti tecnologici. Hanno meno soldi, meno certezze lavorative, meno fisime da shopping compulsivo rispetto ai modelli allora rappresentati in modo sfacciato dalle protagoniste della serie Sex & the City. Sono però molto più attenti e preparati rispetto alle strategie più o meno sofisticate del marketing, compreso quello dei saldi: spesso le hanno studiate all’università, e sicuramente, almeno una volta, le hanno prese in giro attraverso le immagini e i video adbuster  che girano in rete, dissacratori della pubblicità e del marketing.
Molta attenzione devono dunque dedicare alla comunicazione dei saldi quei commercianti che vogliano in qualche modo rimettere in sesto le loro attività che ultimamente non sono andate molto bene. Che siano giovani o meno, i consumatori di oggi sono selettivi, esigenti e colti, ma anche curiosi e rispondenti se li si colpisce in modo intelligente e onesto. Che si lascino dunque da parte le tecniche di vendita più platealmente cialtrone. Che senso ha, ad esempio, esporre in vetrina cartelli di saldi con un gigantesco “70%”, e in piccolo la scritta “fino al”, quando all’interno del negozio si trovano in maggior parte sconti al massimo del 20%, e poi alla domanda “Ma dov’è la merce scontata al 70?” ci si sente rispondere “E’ già esaurita”. E come si possono spacciare per saldi di fine stagione gli sconti su merci di anni passati, anche parecchi a volte? Si può aver fiducia in chi propone in saldo sin dal primo giorno solo le taglie più infinitesimali? Veniamo ancora allettati dai prezzi a “…9,99”, dove le cifre decimali mascherano l’intero superiore che si presume ci impaurirebbe? Questi trucchi patetici ormai dovrebbero avere prodotto immunizzazioni,eppure continuano.
Molto più apprezzate dai consumatori sono invece le forme personalizzate che ormai molti negozi utilizzano: dall’sms all’email in cui si avvisano i clienti delle promozioni commerciali in corso. E’ una tecnica ereditata dalle boutique eleganti di un tempo che, con una telefonata o più elegantemente con un bigliettino postale, invitavano pochi fedeli clienti alla giornata in cui, in anticipo sulla stagione dei saldi, sarebbero state loro presentate le prime merci scontate. Oggi la pratica si è allargata, oltre le boutique glamour, anche a catene commerciali e negozi di livello medio e medio-alto, e in verità le promozioni di questo tipo si sono estese a periodi anche non necessariamente legati ai saldi ufficiali.
E c’è poi un altro elemento importante: la diffusione massiccia dello shopping online, in particolare presso le generazioni e i ceti sociali più culturalmente esigenti - il che non vuol dire più ricchi - sta abituando i consumatori a periodi e forme diverse di saldi. Nell’e-commerce gli sconti vengono effettuati lungo tutto l’anno, certo in modo differenziato e per tipi di merci diverse; oppure si scontano ordinativi al di sopra di una certa cifra; o ancora si aboliscono le spese di spedizione. E questo sta svincolando i consumatori da un’idea rigida di “stagionalità” degli acquisti.
La domanda allora è: che senso hanno i saldi concepiti come se né la crisi né la tecnologia avessero cambiato i nostri stili di vita?



Box 
A concepire per primo l’idea del consumo come forma di rappresentazione sociale fu, in modo esemplare, il sociologo americano Thorstein Veblen, che coniò nell’ormai lontano 1899 il concetto di “consumo vistoso”, inteso come il comportamento tipico di quella “classe agiata” che dedica una parte importante del suo tempo e delle sue ricchezze all’acquisto di beni costosi e raffinati, a cominciare dagli abiti, ostentati come segni del prestigio sociale. Nel corso del Novecento, la possibilità di consumare e di esprimere una personalità - individuale o sociale - attraverso il consumo, si è manifestata a fasi alterne, con differenze enormi tra i momenti di depressione economica - pensiamo alla crisi del ’29 e alle guerre - e i momenti di espansione – soprattutto la seconda metà del secolo fino al primo decennio 2000. Durante questi decenni il consumo ha avuto un potere enorme, al punto di essere riuscito a “inventare”, in particolare, due cose importanti: i “giovani”, come prima cosa, intesi come gruppo sociale vero e proprio, consumatore di specifici beni, merci, mode, messaggi, musiche, linguaggi. Le “stagioni”, come seconda cosa, intese non come stagioni naturali e meteorologiche, ma come stagioni dell’acquisto, stagioni della moda, stagioni della “spesa conveniente”.



Patrizia Calefato

mercoledì 7 gennaio 2015

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