martedì 6 maggio 2014

Se il corpo in scena fa vivere le immagini: "Pupilla" di Valeria Magli

“E’ la tua pittura una forma di danza, o Valeria col piede pensante”, scrisse nel 1983 Francesco Leonetti a Valeria Magli. Bolognese, laureata in Filosofia con Luciano Anceschi, Magli propone un genere unico in cui il corpo è al centro, in cui ogni muscolo e ogni nervo è pensiero, concetto, elemento di connessione.
Incontro Valeria Magli a Ruvo di Puglia, presso il teatro Comunale, dove sta ultimando la preparazione della prima nazionale (Bisceglie, Teatro Garibaldi, 3 maggio) di Pupilla 1983-2014. Trentuno anni che riannodano i pensieri e i movimenti: nello spettacolo del 1983 era lei sola in scena, oggi sono tre giovani ballerine della Dance-Haus Company di Milano a interpretare le molteplici figure attraverso cui vive la protagonista di Pupilla: Chiara Monteverde, Armida Pieretti e Susan Vettori. Magli torna in Puglia dopo 14 anni: era stata l’ultima volta a Bari, presentando una performance nell’ambito dell’iniziativa Tra il dire e il fare dedicata al pensiero e alla creatività femminili, e prima ancora aveva partecipato, agli inizi degli anni ’90, a un’altra iniziativa sullo stesso tema presso Santa Scolastica. Trova entusiasmante questo pezzo di Puglia che conosce, la trova ospitale e bellissima, soprattutto guardando il mare dall’alto del giardino del Teatro di Ruvo nella cui foresteria è anche ospite per alcuni giorni nei quali ha incontrato i ragazzi del Liceo Coreutico di Bisceglie. “E’ un luogo bellissimo, questo” dice, “sarebbe un ambiente fantastico per una scuola estiva internazionale per giovani artisti, basterebbe potare un po’ d’erba e riallestire gli interni, molto semplicemente: ho chiesto agli operatori locali dei Teatri abitati e del Teatro Pubblico Pugliese di pensarci, io sono pronta a collaborare”.

Poi entra decisamente nell’argomento che le sta a cuore: questa Pupilla che nacque, appunto, nel 1983, e che oggi rivive, attualissima come il pensiero-movimento-corpo che la sorregge. Pensiero, movimento e corpo di donna, innanzi tutto, possibili anche in base a relazioni molto caratterizzate dalla presenza femminile che si sono attivate per darle vita. A cominciare da quella che la sorregge oggi: il progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Coreography) ideato e diretto dalla critica di danza Marinella Guatterini, che è dedicato alla memoria degli ultimi decenni della danza contemporanea in Italia attraverso otto lavori di otto artisti. “Il modello di relazione con persone come la direttrice della scuola di danza da cui provengono le tre ballerine di oggi, la tecnica delle luci, la restauratrice dei costumi, originariamente creati da me stessa”, dice Magli, “vorrei che fosse un modello per le giovani, soprattutto in questo spettacolo in cui le ispirazioni visuali sono molteplici, le musiche e le parole (da Debussy a Fauré, da Pascoli a Saba) anche, ma in cui sono in scena le possibili vite di una donna che pensa e racconta se stessa”. 
In Pupilla il corpo in scena fa vivere delle immagini: si parte da quella della Contessa de Beaumont, fotografata da Man Ray, vestita per una di quelle feste che lei e suo marito organizzavano spesso sul finire degli anni ’20. “La festa era un’occasione culturale, in quel tempo” dice Magli. “I luoghi del lusso e del divertimento erano frequentati da artisti, poeti, pensatori, erano tutto il contrario del lusso festaiolo pacchiano di oggi”. Nelle mani la contessa ha due marionette in forma di teste: la danzatrice replica questa figura con due maschere di donna che poco a poco si trasformano in burattini e poi in bambole, “effigi dell’umano”, dice Magli.  E’ la prima scena, quella della “signora”, “una signora un po’ stanca che torna a casa e comincia a pensare a quello che è e che è stata”. Così prende vita la seconda immagine, “le bambine”, che “rimanda al mondo dell’infanzia con i giochi teneri e le cantilene, ma anche con i suoi misteri e le sue perversioni”. Le turbe adolescenziali fanno poi spazio al terzo “quadro”, la “femme moderne”, ispirata alla foto di Max Ernst La preparation de la colle d’os (1921), di cui è protagonista il corpo meccanico, il corpo-macchina, percorso da tubi e cavi di alimentazione “come quello di un robot o di una persona in coma la cui vita è alimentata da macchine e cannule”. Torna nella quarta scena la bambola, che dà vita alla foto Die Puppe del surrealista Hans Bellmer (1933), in cui la donna è ritratta come una bambola fatta di pezzi di corpo, arti, seni, piedi fasciati in calzini corti e ballerine-bebé. E’ una “bambola snodabile” che nella performance di Magli esce dall’immaginario maschile di donna smontabile e rimontabile come la vuole il suo “creatore”, e si mette a vivere di vita propria, mentre intorno a lei gli uomini non sono che omini Michelin, “proprio quelli dei camionisti”, dice l’artista. Infine, la quinta scena è il “girotondo”, la danza che fa vivere il mondo. Ora la vita appare in tutte le sue forme, si rompe alla fine lo schermo (nel 1983 era lo specchio) che ci rimanda un’immagine piatta e monotona, mentre l’arte e l’immaginario ci offrono gaiamente la molteplicità del vivere.




 Il senso di un'esperienza: nacque con "Alfabeta"
Sono stati fondamentali nella formazione della cultura italiana di fine Novecento i quasi dieci anni di vita (1979-1988) della rivista “Alfabeta”, che rappresentò forse l’ultima esperienza di “avanguardia” novecentesca, e che ebbe nella sua redazione figure di scrittori, filosofi, semiologi, artisti, come Nanni Balestrini, Umberto Eco, Maria Corti, Francesco Leonetti, Gianni Sassi, Omar Calabrese, Carlo Formenti. Quest’ultimo ha poi fondato nel 2010 “Alfabeta 2”, rivista che però, nel nuovo secolo, contempla ovviamente prospettive e tagli teorici piuttosto distanti dall’ “Alfabeta” originaria.  Nei tanto vituperati anni ’80 presero invece vita intorno a quella rivista teorie umanistiche e pratiche artistiche che si incrociavano in modo innovativo, che generarono dibattiti impensabili solo fino a qualche anno prima in Italia e formarono così parte della generazione che non si sentiva più a suo agio nella rigidità ideologica degli anni ‘70. Fu in quel clima culturale che nacque, originale e sofisticata, l’esperienza di danza di Valeria Magli, che alla rivista collaborò e di cui su “Alfabeta” scrissero molti autori. (P.C.)

Box 2 Magli
L’abito è essenziale nel lavoro di Valeria Magli. Lei stessa disegna i costumi di scena, prendendo ispirazione dalle immagini che intende “far parlare”, dai concetti che vuole esprimere, dalle figure dell’immaginario. Ai suoi abiti si è recentemente ispirata una stilista russa, Svetlana Bezva, nella sua collezione 2013-14, che rielaborano le immagini della bambina e della bambola “traducendole” in forme e colori.


                                                                                                                                                                                        

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